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‘Ndrangheta/6: ‘Ndrangheta e massoneria

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"3. ‘Ndrangheta e massoneria

Gli anni ’70 rappresentano un vero e proprio spartiacque che segnerà il corso e la storia della ‘ndrangheta, ponendo le basi della sua evoluzione sino a giungere alla potenza economica e militare che oggi ne contraddistingue il ruolo sui territori e nello scenario criminale internazionale.

 

In quegli anni si salda anche il tanto analizzato e indagato rapporto con la massoneria, storicamente radicata nella società calabrese.

 

Scrivono a questo proposito i magistrati della D.D.A. di Reggio Calabria: “Si tratta dell’ingresso dei vertici della ‘ndrangheta nella massoneria, che non può avvenire se non dopo un mutamento radicale nella ‘cultura’ e nella politica’ della ‘ndrangheta, mutamento che passa da un atteggiamento di contrapposizione, o almeno di totale distacco, rispetto alla società civile, ad un atteggiamento di integrazione, alla ricerca di una nuova legittimazione, funzionale ai disegni egemonici non limitati all’interno delle organizzazioni criminali, ma estesi alla politica, all’economia, alle istituzioni. L’ingresso nelle logge massoniche esistenti o in quelle costituite allo scopo doveva dunque costituire il tramite per quel collegamento con quei ceti sociali che tradizionalmente aderivano alla massoneria, vale a dire professionisti (medici, avvocati, notai), imprenditori, uomini politici, rappresentanti delle istituzioni, tra cui magistrati e dirigenti delle forze dell’ordine. Attraverso tale collegamento la ‘ndrangheta riusciva a trovare non soltanto nuove occasioni per i propri investimenti economici, ma sbocchi politici impensati e soprattutto quella copertura, realizzata in vario modo e a vari livelli (depistaggi, vuoti di indagine, attacchi di ogni tipo ai magistrati non arrendevoli, aggiustamenti di processi, etc.), cui è conseguita per molti anni quella sostanziale impunità, che ha caratterizzato tale organizzazione criminale, rendendola quasi "invisibile" alle istituzioni, tanto che solo da un paio di anni essa è balzata all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e degli organi investigativi più qualificati. Naturalmente l’inserimento nella massoneria, che per quanto inquinata, restava pur sempre un’organizzazione molto riservata ed esclusiva, doveva essere limitato ad esponenti di vertice della ‘ndrangheta, e per fare questo si doveva creare una struttura elitaria, una nuova dirigenza, estranea alle tradizionali gerarchie dei "locali", in grado di muoversi in maniera spregiudicata, senza i legami culturali della vecchia onorata società. Nuove regole sostituivano quelle tradizionali, che restavano in vigore solo per i gradi meno elevati e per gli ingenui, ma non vincolavano certo personaggi come Antonio Nirta o Giorgio De Stefano, che si muovevano con tranquilla disinvoltura tra apparati dello Stato, servizi segreti, gruppi eversivi. Persino l’attività di confidente, un tempo simbolo dell’infamia, era adesso tollerata e praticata, se serviva a stabilire utili relazioni con rappresentanti dello Stato o se serviva a depistare l’attività investigativa verso obiettivi minori. E più oltre: “Esigenze razionalizzatrici dunque che in qualche modo anticipavano e preparavano quei nuovi assetti della ‘ndrangheta che hanno formato oggetto della presente indagine, ma che rispondevano anche alla necessità di ‘segretazione’ dei livelli più elevati del potere mafioso, al fine di sottrarli alla curiosità degli apparati investigativi ed alle confidenze dei livelli bassi dell’organizzazione”. (1)

 

Un lungo filo rosso unisce dunque ‘ndrangheta e massoneria, anche se, stando alle pacifiche conclusioni alle quali sono pervenute indagini giudiziarie e storiche, la reciproca compenetrazione delle due società segrete si consolidò a partire dalla seconda metà degli anni ’70, in singolare e non certo casuale consonanza con quanto avveniva dentro Cosa Nostra, come ebbe a riferire il collaboratore di giustizia Leonardo Messina davanti alla Commissione parlamentare antimafia: "Molti degli uomini d’onore, cioè quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla massoneria. Questo non deve sfuggire alla Commissione, perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso da quello punitivo che ha Cosa nostra".

 

Rimane dunque aperto il tema di come rendere efficace il livello giudiziario e penale quando emerge una dimensione occulta del potere e la sua doppiezza.

 

(l’immagine non fa parte della relazione)

 

 

Le conclusioni sin qui riferite trovano riscontro in alcuni dei documenti “interni” della ‘ndrangheta. In essi si fa riferimento alle formule di iniziazione alla “Santa”, la struttura di ‘ndrangheta creata nella metà degli anni ’70 del secolo scorso. Ad essa potevano essere ammessi i giovani e ambiziosi esponenti delle cosche, smaniosi di rompere le catene dei vecchi vincoli della società di sgarro e di misurarsi con il mondo esterno, che offriva infinite possibilità di inserimento, di arricchimento, di gratificazione. Due sono gli elementi che appaiono decisivi. Il primo è costituito dall’impegno assunto dai santisti di “rinnegare la società di sgarro”. Dunque le vecchie regole, ancora valide per tutti i “comuni” mafiosi, non valgono più per la nuova èlite della ‘ndrangheta.

 

I santisti possono entrare in contatto con politici, amministratori, imprenditori, notai, persino magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine, se questo può essere utile per l’aggiustamento dei processi, per lo sviamento delle indagini, per stabilire rapporti sotterranei di confidenza e di reciproco scambio di favori. L’infamità non rappresenta più uno sbarramento invalicabile, può essere aggirata e superata in vista dei vantaggi che la rete dei contatti non più preclusi può assicurare.

 

Il secondo importante elemento è costituito dalla “terna” dei personaggi di riferimento prescelti per l’organizzazione della “Santa”. Non più gli Arcangeli della società di sgarro –Osso, Mastrosso e Carcagnosso, giunti dalla Spagna in Italia dopo 29 anni vissuti nelle grotte di Favignana- ma personaggi storici, ben noti nella tradizione culturale e politica italiana: Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Lamarmora, Giuseppe Mazzini. I primi due, generali dell’esercito italiano, un tempo, in quanto portatori di divisa al servizio dello Stato, sarebbero stati considerati “infami” per definizione, per eccellenza. Come va spiegato allora un richiamo così solenne ed esplicito a tali personaggi? Qual è il messaggio che attraverso tale indicazione si vuole mandare al popolo della ‘ndrangheta? La risposta è chiara se si osserva come Garibaldi, Lamarmora, Mazzini erano tutti e tre appartenenti a logge massoniche, per di più in posizioni di vertice (Garibaldi fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 24 maggio all’8 ottobre del 1864).

 

La ‘ndrangheta, insomma, da corpo separato, si trasforma in componente della società civile, in potente lobby economica, imprenditoriale, politica, elettorale. Da allora diventa l’interlocutore imprescindibile, il convitato di pietra, di ogni affare, investimento, programma di opere pubbliche avviato sia a livello regionale che centrale, ma anche di ogni consultazione elettorale, amministrativa e politica.

 

Per arrivare a questo risultato, tuttavia, i santisti non potevano entrare in contatto “diretto” con gli esponenti delle istituzioni e del potere economico, almeno all’epoca. Oggi, probabilmente, tutto questo è possibile senza mediazioni, ma in quella fase storica era necessario passare attraverso camere di compensazione, che consentissero a quei contatti la necessaria dose di riservatezza, affidabilità, sicurezza. Furono le logge massoniche ad offrire una tale possibilità. Non tutte certo. Alcune di quelle già esistenti diedero la propria disponibilità, altre furono create per l’occasione, ma sicuramente il sistema massonico-mafioso costituì il formidabile strumento di integrazione delle mafie nel sistema di potere dominante e di captazione nella borghesia degli affari.

 

Da allora in avanti, il fenomeno ‘ndrangheta appare sempre più con i caratteri di componente strutturale della società meridionale, e non solo, di “istituzione tra le istituzioni”, di attore diretto e principale delle politiche di sviluppo, di investimento, realizzate in quelle aree da parte delle istituzioni comunitarie e nazionali. Per questo è verosimile che il ruolo della massoneria, accertato e necessario in altre fasi, sia in gran parte superato, almeno nelle forme finora conosciute.

 

E’ però necessario abbandonare alcune categorie  di lettura fortemente radicate nella cultura dell’antimafia, categorie che appaiono oggi superate e addirittura di ostacolo ad una lettura idonea a fornire strumenti di analisi e soprattutto di contrasto in grado di avere una qualche possibile efficacia.

 

La prima categoria è quella dell’emergenza. Se la ‘ndrangheta vive ed opera dall’Unità d’Italia e se essa, con il passare di oltre un secolo e mezzo, ha conservato intatte fisionomia e presenza, accrescendo la sua forza economica e il potere di condizionamento politico, allora di emergenziale nella sua presenza vi è davvero poco. E’ piuttosto un fenomeno dinamico, funzionale all’attuale assetto economico-sociale e quindi non contrastabile solo con i consueti interventi repressivi di carattere giudiziario.

 

La definizione della mafia come “antistato”, poi, è di quelle che appaiono suggestive ed accattivanti ma legate all’immagine di una criminalità simile al fenomeno terroristico, intenzionata cioè ad abbattere lo Stato di diritto per sostituirsi ad esso. Di fronte ad un fenomeno storico di tale portata, non solo non vi è mai stata una seria, duratura, coerente, volontà politica di condurre un’azione di contrasto decisa e irremovibile ma, al contrario, si è registrata, da sempre, una linea ambigua e contraddittoria. Alle debolezze istituzionali ed ai ritardi culturali si  è aggiunto un vero e proprio sistema si collusioni e mediazioni sociali ed economiche, fino a determinare un livello di organicità degli interessi mafiosi alle dinamiche della società determinando il relativo degrado della politica e delle istituzioni. Si è reso cosi sempre più labile, in intere aree della Calabria il confine tra lo Stato e gli interessi della ‘ndrangheta..

 

Con questa forza la ‘ndrangheta ha sempre cercato, quando ne ha avuto l’opportunità, di valicare l’area del proprio insediamento. Il suo essere “locale” – non a caso auto-definizione della sua struttura organizzata centrale – non è mai stato considerato una gabbia o una limitazione al proprio agire mafioso, ha invece rappresentato una pedana di lancio verso altri territori –geografici, economici e sociali- nei quali stabilire relazioni in cui sviluppare nuove attività criminali.

 

           

 

4. Tra passato e futuro

 

Nel fiume di parole che hanno inondato la Germania e l’Italia immediatamente dopo la strage di Duisburg colpisce in particolare il fatto che la scoperta della ‘ndrangheta sia legata ad una descrizione della stessa come un’organizzazione chiusa, arretrata, avvolta in una faida sanguinaria e feroce. Tutto ciò sembra stridere con l’epoca in cui viviamo, caratterizzata da processi di globalizzazione di tutte le attività produttive e umane e da una straordinaria capacità di trasmettere informazioni su scala planetaria.

 

La grande contraddizione, dunque, sarebbe tra una società oramai globalizzata in tutti i suoi aspetti ed una ‘ndrangheta arretrata ed arcaica.

 

            In effetti questa mafia agisce e pensa contemporaneamente localmente e globalmente, controlla il territorio, segue e interviene nell’evoluzione dei mercati internazionali. Per questo oggi è la più robusta e radicata organizzazione, diffusa nell’intera Calabria e ramificata in tutte le regioni del centro-nord, in Europa e in altri paesi stranieri cruciali per le rotte del narcotraffico.

 

            Con questo dinamismo ha articolato e diversificato le sue attività. Abbandonati i sequestri di persona e continuando a controllare l’intero ciclo dell’edilizia, ha investito nella sanità, nel turismo, nel traffico dei rifiuti, nella grande distribuzione commerciale, assumendo anche un ruolo chiave nel controllo dei grandi flussi di denaro pubblico. Ha conquistato  ruolo imprenditoriale e soggettività politica. Una nuova dimensione modellata sulle pieghe della società calabrese, dal Tirreno allo Ionio, dal Pollino allo Stretto. Niente di vecchio e di arcaico, quindi. Ma un soggetto criminale moderno con una borghesia mafiosa, lontana apparentemente da tradizionali logiche militari, come dalla gestione delle più imbarazzanti attività criminali (traffico di droga, armi, esseri umani; tutti settori affidati ormai a gruppi collaterali), inserita progressivamente nei salotti buoni, della società; in questo modo si fanno gli affari, si costituiscono le società miste, si appaltano i servizi pubblici, si scelgono i consulenti di chi governa, per determinare le grandi scelte del territorio. L’inserimento negli organismi elettivi sarebbe già di per sé pericoloso e inquinante, ma esso è a sua volta foriero di ulteriori infiltrazioni: la pratica delle assunzioni clientelari, degli affidamenti di lavori, di forniture e servizi a imprese collegate, consente di allargare sempre di più l’area dell’inquinamento mafioso, sino a stravolgere il mercato del lavoro al pari di quello degli appalti. La ‘ndrangheta diventa così oltre che soggetto imprenditoriale anche soggetto sociale, contribuendo a dare risposte drogate ai bisogni insoddisfatti dai limiti e dall’assenza di politiche pubbliche.



(1) Richiesta P.M. della D.D.A. di Reggio Calabria, di misura cautelare del 21.12.1994, nel processo n. 46/93, più noto come Operazione Olimpia."

 

Visto che si parla di massoneria, non posso ricordare a quanti non lo sappiano che Berlusconi faceva parte della loggia P2 di Licio Gelli…

tesserap2berlusconiPuntate precedenti:
Ndrangheta: Relazione annuale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare
‘Ndrangheta/2: l’affidabilità
‘Ndrangheta/3: il controllo del territorio
‘Ndrangheta/4: le origini
‘Ndrangheta/5: Le differenze rispetto alle altre mafie

 


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